La solidarietà tra i principi fondamentali della Costituzione

Un principio cardine ricorre molte volte nella Costituzione: quello della solidarietà. 

Alla solidarietà fra i popoli pensavano i Costituenti scrivendo l’art. 11 secondo il quale l’Italia ripudia la guerra e acconsente alle limitazioni di sovranità in favore di un ordinamento che assicuri la pace la giustizia fra le Nazioni. Tra i principi c’è poi quello dell’eguaglianza non solo formale (art.3), che cambierebbe già da sola in maniera radicale la società, ma anche quella sostanziale che può essere realizzata soltanto attraverso l’attuazione dell’altro valore straordinario, quello della solidarietà. Si tratta di un principio fondante del nostro sistema repubblicano, al punto da essere solennemente riconosciuto e garantito, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, dall’art. 2 della Costituzione. Togliendo la solidarietà si minano le basi dell’ordinamento intero.  La Corte costituzionale ha chiarito in modo certo il significato di questo principio indicando la solidarietà come  fondamenta della convivenza sociale, precisando che si tratta di una convivenza “normativamente prefigurata dalla Costituzione” e non una speranza affidata a un sentimento. La convivenza sociale deve essere costruita sulla base del principio di “solidarietà”, perché la Costituzione «pone come fine ultimo dell’organizzazione sociale lo sviluppo di ogni singola persona umana» (sentenza n.167/1999).

Solidarietà, libertà, uguaglianza 

La solidarietà è la versione legislativa della fraternità (fraternité, delle tre parole simbolo della Rivoluzione francese e assume con le altre, libertà e uguaglianza, forte valenza politica). Si tratta di un programma vincolante per le istituzioni, non è un optional, viene nominata spesso ma è poco praticata nei fatti.  La solidarietà ha due pilastri, quello che riguarda i comportamenti solidali spontanei di singoli o collettività (non dovuti) e quello dei comportamenti, giuridicamente imposti (dovuti) dei singoli ma soprattutto delle istituzioni. Della solidarietà della Costituzione fanno parte gli uni e gli altri: tanto doverosi dello Stato, enti pubblici o individui, quanto i comportamenti liberi non dovuti di cittadini singoli o associati.

Non ci sono vincoli di bilancio che tengano! La Corte costituzionale è stata chiara e decisa circa l’illegittimità di scelte di legge che sacrificano i diritti sociali in nome di esigenze di bilancio in un sistema, quale il nostro, che ha tra i principi fondamentali la solidarietà: “È la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio e non l’equilibrio di questo a condizionare la doverosa erogazione” (così si legge nella sentenza n. 275 del 2016 poi anche in una successiva nel 2017). Ciò poiché la “persona” è stata considerata il riferimento principale per coloro che, dopo la guerra e il totalitarismo, lavoravano per costruire un sistema nuovo. 

In seguito all’esperienza del fascismo fu forte l’intento di porre prima la persona rispetto allo Stato oltre alla necessità di prevedere diritti “inviolabili”. Alla fine del dibattito gli schieramenti diversi per estrazione culturale e politica si fronteggiarono furono uniti nel riconoscere il valore della persona, caro sia alla tradizione cristiana che alla cultura laica.  

In particolare, fu l’idea di Togliatti, secondo cui lo scopo di un sistema democratico è “garantire un più ampio e più libero sviluppo della persona umana”, a trovare il più largo consenso.

Il dramma dei profughi e il bisogno di solidarietà

Su tale ambito dei diritti sociali vediamo bene come il divario da colmare sia profondo. In questi anni con il dramma dei profughi abbiamo visto che la solidarietà internazionale è stata assente; mentre c’è stata, al contrario, quella dei tanti individui, medici in testa, che generosamente continuano ad aiutarli. Uno, dei due ambiti della solidarietà, quello spontaneo e non doveroso giuridicamente, ha tenuto. La situazione tragica di popolazioni in fuga da guerre, miseria e morte dimostra che la solidarietà internazionale, doverosa per gli Stati in base a norme di tutela dei diritti umani, è assente: pochi Stati – l’Italia è tra questi – si adoperano per salvarli almeno dalla morte. Viceversa, la solidarietà volontaria, non dovuta di molte persone – ma non di tutte – si è dimostrata eccezionale: gli abitanti di Lampedusa e i medici che operano in zone martoriate dalla guerra e dalla povertà, sono un grande esempio e un seme di fiducia. Ora un’altra catastrofe umanitaria ci interpella, quella seguita ai drammatici momenti della fuga dall’Afghanistan post caduta di Kabul sotto i talebani. Come in altre guerre le vittime sono sempre i civili che dopo una sconfitta non hanno che da scappare per trovare salvezza. Ci hanno emozionato le immagini dell’assalto di quelle masse di disperati agli aerei pronti a partire dall’aeroporto o delle scene delle madri di lanciare i bambini oltre quel filo spinato intorno l’aeroporto. Da subito sono stati moltiplicati gli appelli per accogliere i profughi. Di fronte a questo disastro provocato da una guerra durata venti anni con i risultati visti, siamo tutti consapevoli di essere chiamati ad una responsabilità e a coinvolgerci, perché a questa guerra partecipò anche l’Italia insieme agli altri paesi che hanno seguito gli Stati Uniti all’indomani dell’attacco dell’11 settembre 2001. Nonostante l’art. 11 della Costituzione che afferma che l’Italia ripudia la guerra come mezzo di offesa per gli altri popoli, ed ignorando che l’unico organismo internazionale a cui è demandato il diritto di ricorrere all’uso della forza sia il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (ONU), intervenuta prontamente con una risoluzione, che fu però ignorata. Non è sufficiente guardare attoniti le terribili immagini che ci arrivano: è possibile iniziare a dare subito sostegno a quanti sono in fuga. Non solo come istituzioni, ma anche come privati.

Una bella storia di accoglienza 

Viene dal trentino dove una giovane famiglia afgana ha trovato accoglienza dopo essere fuggita, riuscendo a mettersi in salvo, grazie a delle persone che conosceva e all’amore per la montagna. Sayed Alishah Farhang è il nome di questo giovane atleta e guida alpina, ospitato con la famiglia a Trento insieme alla moglie e i due figli piccoli, in attesa di ricevere lo status di rifugiato. Era già stato in trentino nel 2018 a disputare sulle Alpi delle gare di sci alpino (di slalom gigante) per potersi qualificare alle Olimpiadi in Corea del Sud, era quello il suo sogno. Sarebbe stata la prima partecipazione dell’Afghanistan a una olimpiade invernale. Prospettiva che, invece, deve accantonare ora che i talebani sono rientrati al governo vietando – tra gli altri diritti – anche quello di partecipare a competizioni sportive. Racconta Sayed come in una settimana sia cambiata la sua vita, di quel 20 agosto in cui non si capiva niente, in mezzo a urla e ressa, e come, poi, ad un tratto da un varco meno affollato è riuscito a fuggire con la moglie e i bambini, riuscendo miracolosamente a salire su un aereo per Roma. Non rendendosi ancora conto di come in pochi giorni abbia dovuto lasciare il suo Paese.

Il dovere sociale della solidarietà 

Sulla solidarietà si fondano altri ulteriori doveri, sociali, politici ed economici. L’art. 2 della Costituzione, infatti, oltre a sancire i diritti prevede anche doveri: la “persona” è situata in un insieme, in un corpo sociale, messa in relazione ad altre “persone”. Si pensi all’esistenza dell’interesse pubblico di promozione della salute collettiva tramite il trattamento sanitario che può diventare un obbligo legale oltre a una politica incentivante. Un obbligo che è strumentale per il perseguimento di tale interesse collettivo alla salute. Si discute e contesta anche in questo periodo l’ipotesi di una introduzione di un obbligo con riferimento alla vaccinazione anti Covid 19 oltre alla politica incentivante adottata del Green Pass. Mezzi attraverso i quali si vuole perseguire la tutela dell’interesse generale alla salute, l’interesse della comunità. Ai diritti si accompagnano “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, quindi come detto, il primo di questi doveri è nell’art. 53: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Le entrate pubbliche costituiscono il mezzo indispensabile per l’erogazione di servizi e lo svolgimento dei compiti e funzioni da parte dello Stato, se non esistono le risorse economiche non può far fronte ai bisogni. L’evasione fiscale sottrae risorse importanti alla collettività, nel nostro paese ha raggiunto livelli che non ha eguali in altri paesi, coloro che sfuggono a tale doverosa solidarietà fiscale, partecipando solo come percettori di servizi e approfittano delle prestazioni pubbliche, senza aver prima partecipato alle sue spese e sostenimento, non creano danno solo allo Stato, entità distante, ma danneggia tutti noi. Quando invece viene richiesta fedeltà fiscale e partecipazione alle spese pubbliche. Ma anche su questo fronte si vede come la realtà sia distante!